Come parli al tuo bambino dei cibi che vorresti non mangiasse? Quali termini usi?
Ora proviamo a cambiare il punto di vista, perché vuoi che mangi certi alimenti? Come lo spieghi ad un bambino, piccolo, diciamo dai due anni, quando iniziano il confronto tra pari e la loro volontà si esprime con determinazione, che parole usi?
Condividere le scelte che facciamo sul cibo insieme ai bambini è un passo importante per la loro educazione alimentare. Come ogni educazione, è questo il momento in cui si mettono le fondamenta per il loro approccio con il cibo futuro e l’ideale sarebbe che fosse leggero, curioso e privo di implicazioni emotive.
I nostri primi approcci al cibo sono avvenuti in un contesto molto diverso. Tutto era abbondante, disponibile e senza problemi. Non c’era nessun tipo di consapevolezza alimentare; le abitudini sui cibi genuini erano state spazzate via dai prodotti industriali, intensivi, più sicuri – questo veniva fatto credere – più duraturi, facili da cucinare, reperibili tutto l’anno. Non c’era nessuna necessità ambientale o fisica che imponesse un ragionamento. E così siamo diventati adulti senza nessuna capacità critica su quello che finiva nei nostri carrelli e poi nelle nostre pance.
Ora le cose stanno cambiando e secondo me è un dono che ci viene dato poter riflettere sul nostro ruolo di consumatori e genitori. Cosa vogliamo per i nostri figli? Quanta fatica facciamo noi a scollarci di dosso abitudini che sappiamo non essere salutari, che ci affaticano, ci appesantiscono eppure…
Ma come possiamo trasmettere il pensiero che facciamo sul cibo che offriamo alla famiglia, farlo in modo consapevole e leggero? Usare parole come “porcherie”, “vizio”, “schifezza”, proibire categoricamente un alimento che riteniamo sbagliato non avrà, sul lungo tempo, un risvolto sano sull’approccio dei piccoli, diventati grandi, al cibo. Il rischio è opposto, che del cibo proibito poi non si riesca più a fare a meno.
Educare alla scelta del cibo ha tutto un altro significato. Occorre iniziare a mettere l’attenzione sul perché scegliamo certe cose, senza caricare le spalle dei piccoli di responsabilità verso il mondo, almeno all’inizio, lo sguardo deve rimanere su di loro. Del mondo ci preoccupiamo noi. E così si impara che certi alimenti nutrono, fanno funzionare il nostro corpo al suo meglio. Altri alimenti invece, al nostro corpo non servono, e quindi si mangiano poco.
Il copro diventa un motore, fatto di tanti elementi che vanno oliati, altrimenti si ingolfa. Diventa una casa, di cui prendersi cura, cambiare l’aria, lavare le superfici. Diventa un bosco, dentro cui camminare e raccogliere i rifiuti, perché così gli animali che lo popolano e lo abitano possano nutrirsi. Ognuno deve fare lo sforzo di trovare una similitudine che gli risulti affine, senza dire che un cibo è buono, e cattivo, fa bene e fa male, ma serve o non serve. Un corpo che è ben nutrito corre più veloce, è più elastico, prende meno il raffreddore, usiamo immagini semplici per aiutarci a spiegare quello che per noi è importante. Occorre farlo quotidianamente? No!
Il concetto di cura di sé è quello che dovremmo trasmettere. Ci saranno alimenti che sarebbe bene mangiare di rado, ma se capiterà l’eccezione, senza senso di colpa, la si coglie come tale. Non ci devono essere divieti ma coerenza, rispetto. Un alimento non è corretto per te, come non lo è per me. Evitiamo di avere nella dispensa ciò che non vogliamo che i nostri figli mangino, cerchiamo di non essere ipocriti. Stiamo impostando le basi dell’alimentazione del loro futuro, quella da cui faranno fatica a discostarsi, nel bene e nel male. Noi siamo lo specchio del loro futuro. Attraverso le parole e i gesti gli stiamo insegnando a volersi bene, anche attraverso quello che mangiamo, tutti, allo stesso modo.